Quando vi siete alzati questa mattina quel’è la prima cosa che avete fatto? Vi siete buttati sotto la doccia, avete afferrato una merendina per fare colazione o avete messo su la caffettiera? E subito dopo? Vi siete lavati i denti, avete controllato la posta elettronica o avete infilato le scarpe? Vi siete allacciati prima la scarpa destra o la sinistra? Nel 1892 William James scriveva che la nostra vita è solo un ammasso di abitudini pratiche, e molte di quelle che ci appaiono come decisioni spesso non sono altro che automatismi. Un’abitudine da sola può apparire poco significativa, ma messa insieme a tutte le altre avrà un impatto enorme sulla nostra salute, produttività, sicurezza economica e felicità: è questo il tema che affronta il testo del giornalista del New York Times Charles Duhugg “Il potere delle abitudini”, best seller con oltre un milione di copie vendute.

Tutto il testo ruota intorno ad uno scema molto semplice, il circuito dell’abitudine, meccanismo comportamentale con un preciso substrato neurale: prima c’è un segnale, un interruttore, che dice al nostro cervello di entrare in modalità automatica e quale abitudine usare. Poi c’è la routine, fisica, emotiva o mentale, seguita in ultimo dalla gratificazione, in base alla quale il nostro cervello decide se vale la pena di memorizzare una certa routine. Perchè il cervello usa le abitudini? Perchè cerca modi per risparmiare energia.

Il circolo segnale- routine- gratificazione diventa sempre più automatico, segnale e gratificazione si intrecciano fino a indurre un forte senso di aspettativa e craving, ossia bisogno: quando si forma un’abitudine il cervello non partecipa più al processo decisionale. I ricercatori del MIT inizuarono a lavorare sulle abitudini negli anni 90, concentrando la loro attenzione sullo studio di una porzione antica del cervello, i nuclei della base, che controllano i comportamenti automatici come la respirazione, la deglutizione, la reazione alla sorpresa nonché il ricordare e agire secondo modelli.

Nella vita di tutti i giorni ci sono abitudini che ci servono a risparmiare tempo e le cosiddette cattive abitudini, che spesso ci sforziamo di cambiare senza grandi successi, come il fumare, il mangiare cibo spazzatura o il non fare attività fisica. Alcuni di noi sono alla ricerca della formula magica per cambiare le abitudini disfunzionale, e la cattiva notizia è che non esiste; ma possiamo comprendere il modello di funzionamento delle abitudini, applicando lo schema del circolo dell’abitudine. Secondo il modello è necessario:

  • identificare la routine

  • sperimentare le gratificazioni

  • isolare il segnale

  • elaborare un progetto

La routine è il comportamento, ciò che vogliamo cambiare, quindi è abbastanza faciole da identificare. Più complicato è capire quale segnale l’attiva e per farlo è necessario sperimentare le gratificazioni, che, come sappiamo, sono molto potenti, poiché soddisfano bisogni. Se durante il lavoro vi ritrovate sempre ad andare al bar ad una certa ora per mangiare un dolcetto in compagnia e supponiamo che questa sia la routine che si voglia cambiare, il modo per fare esperimenti sulle gratificazioni può essere quello di provare a fare cose diverse nei giorni: un giorno fare una passeggiata, per vedere se è di una pausa che necessitiamo, un altro giorno provando a mangiare il dolcetto alla scrivania anziché in compagnia, per testare se è per fame che lo facciamo, il giorno dopo ancora provando a mangiare una mela in compagnia al fine di testare se è di uno scambio sociale che abbiamo bisogno. Dopo ogni esperimento sarebbe importante, al fine di promuovere consapevolezza e attenzione al momento presente, appuntare pensieri ed emozioni del momento, e dopo circa 15 minuti chiedersi se il bisogno della routine c’è ancora. Stesso accurato lavoro di consapevolezza va fatto nell’identificare il segnale che fa scaturire la routine, supportati, ad esempio da modello ABC (evento- pensiero- emozione/azione) o dallo strumento della catena comportamentale: quale era lo stato emotivo? A cosa si stava pensando in quel momento? Cosa era successo poco prima? Con chi ci si trovava? Le risposte a queste domande permetteranno alla fine di identificare il pattern comportamentale trovando il punto del circolo dove sarà possibile intervenire.

Questo modello può essere un punto di partenza per modificare le abitudini, che necessita, naturalmente, di altri ingredienti: motivazione e impegno.

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